Lamento di un matematico: alcuni pensieri
"Lamento di un matematico": alcuni pensieri
di Antonella Trevisol
Insegno matematica da molto tempo e, per mia fortuna, ho cambiato diversi corsi di studi andando dagli istituti per geometri, dove l’analisi della figura geometrica ha un ruolo preponderante, a quelli per gli informatici, dove lo sviluppo di tecniche di calcolo è fondamentale, ai licei tecnologici, dove l’astrazione la fa da padrona. In tutti questi anni però nessuno mi ha mai detto come insegnare. Ogni tanto esce una nota dal ministero che mi dice cosa insegnare e i temi degli esami di stato mi dicono cosa non sono stata in grado di insegnare. Sono autodidatta e nel mio piccolo mondo ho cercato di vivere la matematica, di amarla e di insegnarla anche con qualche divagazione: ho provato ad uscire dalla semplice spiegazione-esercitazione- verifica per arrivare addirittura a coinvolgere i ragazzi con argomenti che spaziavano dallo studio delle geometrie non euclidee (che, per altro, fanno parte del programma del PNI: da due anni a questa parte infatti nei quesiti degli esami di stato c’è sempre una domanda su questo argomento) ai frattali o alla crittografia. Ho proposto poi la lettura di libri, la proiezione di filmati e ho addirittura stimolato l’utilizzo delle mani per creare strumenti. Per raggiungere questo modesto traguardo ci vuole tanto tempo e impegno sia in termini di energia sia in termini economici: si impara cammin facendo, andando a convegni, leggendo libri, scambiando esperienze con docenti di altri istituti e di scuole di altro grado... cioè non rimanendo soli. Questo può aiutare ad entrare nei “musei” della matematica e inserire un po’ di “piacer” del far di conto. Mentre si lavora per una didattica un pochino meno formale nascono però alcuni dubbi:
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Oggi la scuola pubblica introduce alla matematica il 100% degli studenti: non sono tutti “artisti”, ma alla fine tutti, anche se controvoglia, imparano a “far di conto”. L’arte invece è materia solo per pochi. Ma, d’altronde, se saper godere della bellezza di un brano musicale o di un quadro non è alla portata di tutti o comunque indispensabile nella vita di tutti i giorni, saper contare è fondamentale anche per andare a fare la spesa. Il docente vive quindi un contrasto nel cercare l’equilibrio tra l’insegnare e l’addestrare.
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Tanti docenti fanno delle sperimentazioni di didattica, ma lo fanno quasi di nascosto, perché qualunque variazione rispetto alla certezza della tradizione ormai consolidata è sempre considerata uno sforzo solo personale, sommerso, inutile anzi quasi dannoso (il programma rallenta, la maturità è alle porte, i voti devono essere un numero congruente) e comunque alla resa dei conti i loro studenti non sono più preparati degli altri e neppure più motivati.
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Studenti e genitori non cambiano idea rispetto alla scuola qualunque metodo venga utilizzato, qualunque sforzo venga fatto, qualunque cosa venga proposta, poichè la scuola rimane sempre tale e cioè costrizione, noia, inutilità.
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Il sistema istruzione oggi non è in grado di valutare le esperienze usando criteri a lungo termine, perché non è strutturato a lungo termine: ogni x anni, senza cognizione di causa, inventa stratagemmi che danno ascolto a umori di gruppi ristretti. Ancora per lungo tempo la vera formazione dei giovani sarà in mano a persone che sono in grado di divertirsi, di creare movimenti di scambio utilizzando poche risorse ma molta buona volontà, ma questo non fa del docente un professionista tanto meno della matematica un'arte.