Lamento di un matematico di Paul Lockhart. Discorso sul merito e sulle obiezioni e risposte.
"Lamento di un matematico" di Paul Lockhart.
Discorso sul merito e sulle obiezioni e risposte.
di Paola Gallo
Ho insegnato per svariati anni lettere (italiano, storia, geografia ed educazione civica) alla scuola media inferiore (alunni di età compresa tra 11 e 14 anni) e la matematica l’ho, per così dire, incontrata davvero tardi, per vie curiose e giocose, rimanendo comunque a livelli di conoscenza molto modesti.
E’ il nucleo centrale del ragionamento di Lockhart quello che mi ha convinta fino in fondo:...la matematica è un’arte.[...] La matematica è la più pura delle arti, ed è anche la più incompresa.[1]
Tenterò di articolare questa consonanza, traendo esempi anche dalle altre arti, quelle che ho insegnato, per le implicazioni teoriche e pratiche che si trascina appresso, in parte esplicitate dall’autore: un nocciolo d’arte, astrazione, divertimento, bellezza, fantasia, regole...
UTILE - INUTILE: antica diatriba. Non mi pare che l’autore voglia instaurare la gerarchia aristocratica “inutile-bello, utile-brutto”: La matematica è vista dalla cultura come una specie di strumento funzionale alla scienza e alla tecnologia.[...] Sto semplicemente suggerendo che solo perché capita che qualcosa abbia conseguenze pratiche, ciò non significa che “si esaurisca”in questo. Mi pare chiaro, invece, che cerchi di mettere a fuoco dei problemi; matematica utile per chi? Utile quando? Utile come? (o inutile, ovviamente). Infine, e in sintesi, ha un senso, e quale, questa questione, mentre si ricerca o si insegna matematica?
Problemi che si pongono, spesso con virulenza, anche rispetto alle discipline letterarie, in particolare alla storia. Esiste, in effetti, il detto “La storia è maestra di vita”, la cui pregnanza, nell’immaginario collettivo, pareggia quella di “Rosso di sera, buon tempo si spera”. Ma perché mai studiamo i Sumeri? qui è difficile come in matematica darsi e dare una risposta: le ricadute pratiche sono certamente nulle, nel presente, o in futuro. Però se ne può, se ne deve ragionare, coi ragazzini, magari partendo dalle formicole, apprezzabilissimi animaletti sociali, un po’ diversi dagli umani, che la loro storia non la studiano, la ripetono coattivamente nei comportamenti. Si può perfino arrivare a concludere che rimanere accovacciati sul nostro indicativo presente potrebbe esserci di nocumento, nonché di avvilimento.
DIVERTIMENTO - SERIETÀ (o fantasia- regole): Per me rimane un mistero la ripulsa, abbastanza generalizzata, del “divertimento” per imparare e insegnare e praticare, a favore della “fatica”. Spensieratezza, frivolezza, voglia di far niente contro sudore, lacrime e sangue: due eserciti contrapposti. E’ un paradosso, si capisce, ma si avvicina pericolosamente alla realtà scolastica.
Divertimento e serietà sono invece in rapporto dialettico, due facce della stessa medaglia, Giano bifronte... divertendosi ci si impegna allo spasimo, come nei Giochi (per esempio i giochi tradizionali di scacchiera: Alquerque, Dama, Scacchi, perfino Gioco dell’Oca, o i giochi di movimento: Aquiloni, Mondo, Salto con la corda...), imparando tantissime “cose”, su cui non mi dilungo. “Divertimento”, del resto, deriva dal latino “divertere”, che vuol dire rallegrare, rallegrarsi, ma anche allontanarsi, cercare altre vie, meno usuali delle solite. “Diverso” privilegia questo secondo significato. Certo, un impiegato per ore a uno sportello, o un operaio nel reparto verniciatura, ha poco di cui rallegrarsi o stenta ad allontanarsi per sentieri nuovi, ma qui stiamo parlando di scuola, di matematica, di storia... buoni per tutti, comunque sopravvivano.
Lockhart sottolinea: Non è certo sulle formule, o sul memorizzare fatti interessanti, che sto facendo obiezioni. Sono importanti in alcune situazioni, e hanno tanto senso quanto ne ha lo studio di un vocabolario che ti aiuta a creare opere d’arte più elaborate e ricche di sfumature. D’accordo, in questa valutazione, con Gianni Rodari, che ha coniato il geniale ossimoro “La grammatica della fantasia”.
Per concludere, si può puntualizzare che “divertimento”, immaginazione, creatività si attagliano anche a contenuti tremendi: più volte ho letto con i ragazzini, in terza, “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Nulla di cui rallegrarsi, si capisce, ma molto in cui investire passione, intelligenza, impegno morale, sorretti da “tecniche di lettura”, necessarie, ma decisamente non sufficienti.
CREDERE, MEMORIZZARE, APPLICARE: Eliminare il processo creativo e lasciarne solo i risultati ha come sicura conseguenza il fatto che nessuno potrà mai sentirsi coinvolto dalla questione.[...] La matematica è “l’arte della spiegazione”. [...] Se si nega agli studenti l’opportunità di intraprendere questa attività, si nega loro la matematica stessa.
A complemento di questa affermazione ci sono i due allucinanti e paradossali racconti, che l’autore sviluppa, portando agli estremi limiti l’idea del credere e applicare, sull’insegnamento della musica e della pittura: anni di lavoro inutile, anzi, nocivo, proprio quando la mente è più aperta, curiosa, disponibile...finalmente, ad atrofia intellettuale raggiunta, suoni e colori.Con l’aggravante, per la matematica, che non esistono vie laterali possibili: concerti, dischi, quadri, gallerie... Non c’è scampo.
...queste brevi poesie di pensiero, questi sonetti di pura razionalità. Ho svolto, in tre anni, con una classe, un lavoro sulla poesia, che ha, sì, statuto d’arte, ma non va per la maggiore: si pratica solo a scuola, si stenta perfino a trovarla in libreria, a parte i classici antichi e moderni. Eppure, una volta entrati nel laboratorio di parole del poeta, gli alunni, lungi dal chiedersi “Ma cos’è, a che pro?”, sono approdati in un mondo “altro”, un mondo di estrema serietà e estrema leggerezza, in cui erano protagonisti, non passivi ricettacoli, o imitatori, o fotocopiatrici viventi.
In prima abbiamo letto e scritto giochi di parole, limerick compresi; in seconda varie poesie: quelle scritte da loro basate sull’indicativo presente e la similitudine (Sono come...), sull’indicativo passato in rapporto al presente e la metafora (Ero, sono stato...Ora sono una foglia di tiglio), sul congiuntivo e l’ipotesi (Se fossi...); in terza, in parallelo alla lettura di molti componimenti di due grandi poeti (Leopardi e Montale), creazione di poesie comprendenti un verso dei poeti appena citati (per esempio “ E il naufragar m’è dolce in questo mare”).
Non mi dilungo: basti sapere che divertimento, impegno, soddisfazioni sono stati davvero grandi, al di là delle attese. Non oso pensare che cosa sarebbe successo se, “prima”, e non “durante”, avessi spiegato, sia pur con esempi, versi, strofe, tipi di componimenti, rime, onomatopee, similitudini, metafore, metonimie, ossimori, parole-chiave, aree semantiche...di certo nessun ragazzino avrebbe chiamato Leopardi “il collega Giacomo”. Saremmo precipitati negli angosciosi imbuti di musica e pittura, ipotizzati con raccapriccio da Lockhart, probabilmente.[2]
LEGGERE, SCRIVERE E FAR DI CONTO: gli obbiettivi fondamentali della scuola dell’obbligo. E anche oltre, in realtà. La questione, che pone Lockhart, e che si pone chiunque insegni, e, infine chiunque sia un essere umano, in qualsiasi condizione viva, è: “ cosa leggere, scrivere e far di conto e come leggere, scrivere e far di conto”.
Il cosa è un insieme di indicazioni che vengono dall’alto e dal centro (programmi che valgono in tutta Italia), decisioni decentrate collettive o personali, valutazioni della situazione in cui si insegna, storia e scelte politiche e culturali individuali. In una dittatura, la libertà di insegnamento non esiste, e in Italia si è sperimentato per un ventennio il Maestro Unico. Anni bui. Per il resto, servono punti di riferimento generali (come “I diritti dell’uomo” e “I diritti del fanciullo” e la “Costituzione della Repubblica italiana”, in Italia, da condividere con i ragazzi) e una buona cultura generale e disciplinare. Cultura sempre “in aggiornamento”, non soltanto durante i corsi di aggiornamento, possibilmente in costante legame con i centri di ricerca, cioè, in particolare, le Università.
Trovo, però, profondamente sbagliato e anti-democratico escludere qualche argomento perché non serve, né servirà nella vita quotidiana: quello che servirà all’impiegato, al metalmeccanico, alla donna delle pulizie sono le operazioni per fare la spesa, mica tutti possono diventare artisti...
Livellando verso il basso si vuole, magari senza rendersene conto, mantenere ciascuno sul gradino in cui si trova: in fin dei conti si può vivere, se non ci ammazzano prima in guerra, senza Galileo e Leonardo, senza Mozart e Dante, senza Euclide e Darwin, senza Omar Khayyam e Donald Coxeter, senza Chaplin e Kurosawa...e al diavolo la dimensione simbolica e astratta, prerogativa della nostra specie!
Magari tutti i lavoratori, i disoccupati, gli oppressi, gli affamati, gli sfruttati, grandi e piccini, del mondo vorrebbero sapere che cos’è il punto, ammesso che qualcosa sia, o perché i nostri antichi nonni preistorici hanno tradotto le loro prede tridimensionali nel mondo piatto delle superfici di caverne e pietre. Invece no, noi aristocratici non glielo diciamo: abbiamo deciso per loro che non gli interessa. Si accontentino della pappa e della lista della spesa, che basta e avanza. Mostruoso, vero? Si potrebbe perfino ipotizzare che un mondo pieno di oppressi ci stia bene.
Sul come molto ho già detto e, ovviamente, assai di più avrei da dire, ma credo che sia l’ora di chiudere il cerchio.
LA MATEMATICA È LA PIÙ PURA DELLE ARTI, ED È ANCHE LA PIÙ INCOMPRESA.
Che la matematica sia un’arte, discende dal suo essere “disinteressata”, nel processo di spiegazione e invenzione, e nel dispiegarsi secondo regole proprie; se ci fa impressione chiamarla “arte”, chiamiamola “scienza”. Possiamo chiamare “scienza” anche la musica, del resto. Nel suo bel libro “La musica sveglia il tempo”, Daniel Barenboim dice della Musica: “...essa è nel mondo, ma è anche fuori del mondo”, come i Giochi, come la Matematica.
Perché quest’arte sarebbe la “più pura”? Mi pare, dallo sviluppo del discorso di Lockhart, che “pura” si debba intendere come “astratta”; per non parlare di pittura e poesia, anche la musica ha riscontri nei sensi, infatti si ascolta, o si può ascoltare. Niente fondamentalismi, dunque, né innamoramenti, ma una presa d’atto.
Quest’arte così astratta, essendo un prodotto della mente umana, rimane, con intelligente lavoro, trasmissibile, piacevolmente trasmissibile; un mondo nel mondo il cui fondamento, l’astrazione, consente estrema libertà, una libertà e una universalità uniche, nel panorama della cultura.
Infine, la matematica è la meno compresa fra le arti: infatti, per malaugurati sviluppi storici, pochi sanno cos’è e come procede.
Chiudo con una frase di Lockhart: “Se in matematica c’è qualcosa che assomiglia a un principio estetico unificante, è sicuramente questo: “semplice è bello”.
[1] Scrivo sempre in corsivo le citazioni da Lockhart, nella traduzione di Fausta Zibetti, da Xla Tangente.
[2] Non sono certo l’unica a lavorare così nella scuola dell’obbligo. Intanto esistono importanti testi di riferimento, tra cui i programmi ministeriali del 1979; poi le collaborazioni, dal consiglio di classe, ad altre scuole; inoltre sostegno di Enti locali, Università, Associazioni culturali ecc. Non siamo soli, per ora. Certo, per “risparmiare”, c’è un tentativo di immiserire tutto il sistema educativo e di ricerca, dalla scuola per l’infanzia all’università. Questo miope “risparmio sul futuro” ha suscitato ampie e ben visibili risposte: i governo italiano ha dovuto fare una mezza marcia indietro. Per il resto, siamo qui.